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Processo Perfido: il più importante processo di mafia del Trentino

2024-11-27 17:15

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Processo Perfido: il più importante processo di mafia del Trentino

Tra il 2018 e il 15 ottobre 2020 l’inchiesta Perfido, condotta dai Carabinieri del Ros e dalla Guardia di Finanza su delega della Direzione Distrettuale Antimafia di Trento, ha permesso di portare alla luce la presenza di una cosca ‘ndranghetista radicata in Val di Cembra ed operante sul territorio Trentino, in particolare nel settore delle cave del porfido (denominato "oro rosso"). L’estrazione del porfido e le attività economiche ad esso connesse costituiscono un settore industriale di primaria importanza economica per il Trentino, concentrato in particolare nella zona dei comuni di Albiano, Lona Lases, Baselga di Pinè e Fornace.


Occorre specificare fin da subito che dall’originaria ordinanza di custodia cautelare del processo Perfido, che vede coinvolti 21 indagati, sono nati diversi processi. Di conseguenza l’originario impianto accusatorio è stato spacchettato e l’esito processuale è ancora frastagliato: alcuni imputati hanno patteggiato, altri sono stati condannati solamente in primo grado, altri sono stati condannati in via definitiva e altri sono ancora in attesa di processo. Pertanto, occorre distinguere le singole posizioni e le singole accuse mosse contro gli imputati. In ogni caso si può affermare che finora l’impianto accusatorio ha retto al vaglio giudiziario, ottenendo in alcuni casi anche il crisma della definitività.


L’inchiesta Perfido è incentrata dunque sulla presenza di una locale di ‘ndrangheta dotata di autonomia decisionale che - pur mantenendo forti collegamenti con la casa madre in Calabria - è stata capace di infiltrare, non solo il tessuto imprenditoriale, ma anche gli ambienti politici e amministrativi locali. Secondo la Procura Distrettuale Antimafia questa indagine ha permesso di documentare come la locale ‘ndranghetistica trentina fosse in una fase di espansione, operando attivamente per realizzare l'acquisizione e lo sviluppo di ulteriori attività imprenditoriali anche in settori diversi da quello dell’estrazione del porfido, nonché ad un progressivo e sempre maggior controllo del territorio attraverso l’acquisizione di cariche amministrative comunali o collegamenti con figure istituzionali operanti nell’intera Provincia, arrivando a porre in essere anche metodi gravemente intimidatori come pestaggi, minacce o estorsioni. Il processo Perfido, dunque, è volto ad accertare il radicamento di un sodalizio mafioso operante da anni nella provincia di Trento e capace di inserirsi nei circuiti economici, politici e amministrativi locali. Tuttavia, oltre al reato di associazione a delinquere di stampo mafioso, gli inquirenti hanno contestato anche ulteriori gravissimi reati quali la riduzione in schiavitù di lavoratori stranieri, lo scambio elettorale politico-mafioso, il favoreggiamento personale, l’istigazione alla corruzione, la rivelazione di segreti di ufficio, l’accesso abusivo a sistema informatico ed altri.


Per quanto riguarda il reato di riduzione in schiavitù, i giudici hanno sottolineato la gravissima gestione criminale del personale straniero impiegato nelle cave da parte del sodalizio. I lavoratori stranieri, prevalentemente di provenienza cinese (ma anche macedone, marocchina, albanese ecc.) erano costretti ad uno stato di assoggettamento e ricatto costante, perpetrato mediante il reiterato mancato pagamento degli stipendi che venivano distribuiti con mesi di ritardo e in piccola percentuale (cento euro alla volta) sotto forma di "concessioni" o "anticipi". Tale condotta criminale ha determinato uno stato di sottomissione dei lavoratori stranieri talmente profondo che, pur non riuscendo a provvedere alle proprie esigenze di vita quotidiane e di sostentamento familiare e nella consapevolezza di ricevere un sopruso, continuavano a recarsi al lavoro senza denunciare l'abuso, in quanto totalmente sottomessi alla forza intimidatrice dell'organizzazione mafiosa.


Il processo Perfido scaturisce da una serie di elementi investigativi e dati raccolti nel corso di diversi anni che, una volta messi a sistema dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Trento, sono sfociati nei noti arresti di ottobre 2020. La complessa ed articolata attività investigativa ha permesso di evidenziare che tale infiltrazione nel tessuto sociale e produttivo trentino è, solo inizialmente, avvenuta in modo "silente", tramite l'acquisizione di attività economiche lecite attraverso l'utilizzo di liquidità e denaro di provenienza illecita, o quantomeno non giustificabile. Successivamente tale inserimento si è ben presto concretizzato nel controllo economico delle cave di estrazione del porfido tramite la forza intimidatrice (soprattutto nei confronti di lavoratori stranieri e di imprenditori che non riuscivano a pagare i propri debiti) e il controllo del territorio che hanno caratterizzato l'operato dell'associazione criminosa. Le sentenze finora pronunciate consentono di affermare che l'associazione mafiosa operante in Trentino dispone di una struttura organizzativa dotata di uomini ed armi, oltre ai rilevanti mezzi economici che sono messi a disposizione dell'organizzazione.


Tuttavia, la consorteria trentina non ha alcun interesse ad utilizzare la sua forza intimidatrice laddove è sufficiente, anzi, più efficace, formare una fitta rete di relazioni con gli ambienti economici, politici e istituzionali. Infatti, dalla lettura degli atti processuali risulta evidente l’impegno del sodalizio ad inserirsi nel tessuto sociale ed economico del territorio. Non solo. L'organizzazione criminale non si limita all’inserimento nel tessuto economico-sociale della Provincia, ma è particolarmente attiva anche nell'intrattenere rapporti con figure politiche o istituzionali, in vista del conseguimento di futuri vantaggi nell'interesse comune.


Dall’insieme delle evidenze investigative emerge dunque l’esistenza di un sodalizio mafioso che non si è limitato ad infiltrare il mercato lecito in maniera illecita e a sfruttare una delle risorse tra le più ricche del Trentino, ovvero le cave di porfido della Val di Cembra, tipologia di pietra particolarmente pregiata e ricercata, ma, in parte per favorire i propri affari, in parte per tutelarsi e per celarne il carattere illecito, ha posto in essere una rete di relazioni con esponenti delle istituzioni locali, anche di elevato livello e ha costituito un’associazione - Magna Grecia - destinata a darle una veste di autorevolezza e rispettabilità nel tessuto sociale.


Occorre dunque, come cittadini, essere consapevoli della presenza delle mafie in Trentino e impegnarsi concretamente per contrastarle. Lo strumento più efficace a tal fine è sicuramente l’informazione: conoscere i metodi sempre più raffinati e camaleontici della criminalità organizzata di tipo mafioso per essere in grado di riconoscerli, denunciarli e difendere il nostro territorio.




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